giovedì, ottobre 17, 2002

Da Avvenire

17 Ottobre 2002
MATTUTINO
prossimo o lontano?

«Debbo confessarti una cosa», cominciò Ivan, «non ho mai capito come sia possibile amare il prossimo. Proprio il prossimo mi sembra impossibile da amare, a differenza forse di chi sta lontano… Perché l'uomo si faccia amare, deve restare nascosto: appena ti mostra il viso, l'amore è finito».
È tratta da uno dei capolavori della letteratura mondiale questa frase. Dostoevskij nei Fratelli Karamazov, il celebre romanzo composto nel 1879-80, punta l'attenzione su un dato scontato eppur disatteso. Quanti, cristiani e no, si dichiarano aperti al prossimo, filantropi in senso generale. Deprecano la vergogna della fame nel mondo, detestano il razzismo, rigettano la guerra, rabbrividiscono per le torture. Poi, però, quando hanno di fronte la questione degli immigrati che invadono i loro quartieri, quando s'imbattono con uomini e donne di colore che s'attaccano a loro per vendere qualcosa, quando devono affittare un locale a uno straniero, quando hanno di fronte una persona in carne e ossa, coi suoi limiti e le sue miserie reali, allora diventano esosi e fiscali, protestano evocando lo spettro dei barbari, rifiutano ogni comprensione e sostegno.
Questa incoerenza tra la teoria e la pratica vale ovviamente anche per le relazioni quotidiane. È facile riconoscere la dignità della persona umana in senso universale. Ma è ben più arduo evitare la calunnia contro il proprio vicino, amare un parente, rispettare chi è diverso da noi. Il monito biblico: «Ama il prossimo tuo come te stesso» rimane, così, sospeso nel limbo della domenica, non entra nella terra dei sei giorni feriali.


Gianfranco Ravasi

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