lunedì, marzo 17, 2003

Tornano i Savoia, a Napoli un giorno di caos

di Fabrizio Rondolino

C'È poco da fare: Napoli o è repubblicana o è borbonica, o s’innamora degli americani, che hanno portato la democrazia, la ciuinga e le sigarette, oppure rimpiange Franceschiello. Approdo peggiore per il loro rientro in Italia i Savoia non potevano scegliere. Il primo di loro a scendere all’ombra del Vesuvio fu Vittorio Emanuele: era il 1861, Roma era ancora papalina e re Vittorio andò al San Carlino a godersi il più grande Pulcinella di tutti i tempi, Antonio Petito. Scoppiarono polemiche furibonde, tafferugli, scontri, e ci scappò il morto.

Ieri è andata meglio - nessuno, per fortuna, si è fatto male - ma la sostanza non pare molto cambiata: la nobiltà napoletana ha semplicemente ignorato i principi, preferendo un fine settimana di sole sulla costiera o i funerali di Murolo, e il popolino - meravigliosamente mescolando attivisti neoborbonici, militanti repubblicani e disoccupati organizzati - li ha contestati rumorosamente, impedendo loro l'ingresso in duomo.

E’ vero: questi Savoia hanno poco a che fare, a parte il cognome, con la famiglia che fece l’Italia; e nessuno ha ancora capito (a parte le costole che Vittorio Emanuele dice d’essersi rotto in un rally) perché mai, dopo tanto impaziente attendere il voto del Parlamento, abbiano aspettato tutto questo tempo prima di tornare in patria. Ma tant’è: ognuno ha i reali che si merita, si potrebbe dire.

Per fortuna c’è Napoli, dove la rabbia e il disincanto trascolorano in ironia e saggezza, e dove le contestazioni - che questi principi, diciamo la verità, probabilmente non meritano neppure - diventano happening e festa di piazza, sberleffo e pernacchia. Dall’allegra contestazione di ieri i nostri Savoia non impareranno probabilmente nulla: ma, se dobbiamo riconoscere di non avere una famiglia reale, è però consolante sapere che abbiamo Napoli.

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