giovedì, febbraio 26, 2004

Natoli: «Vivere nella finitezza è la grande sfida del laico»


Di Salvatore Natoli


Memento homo quia pulvis es et in pulverem revertertis è una formula che semplicemente significa: «uomo ricordati d'essere mortale». Che gli uomini muoiano è d'una assoluta ovvietà e perciò sembra strano che glielo si debba ricordare. Se lo si fa, vuol dire che essi facilmente se ne dimenticano. Nel giorno delle ceneri, la liturgia ripropone ai cristiani un esercizio già ampiamente praticato nella tradizione antica e nelle scuole ellenistiche: è il memento mori, la meditazione sulla morte come via per una buona vita. Queste pratiche tendevano a contrastare la facile disposizione degli uomini ad allontanare da sé il fantasma della morte fino a cancellarla. E ciò non perché ne abbiano semplicemente timore - ogni vita, infatti, rifiuta spontaneamente di finire - ma perché tendono a nascondere a se stessi la loro costitutiva finitezza, E finiscono per identificarsi con l'immediato presente: vivono perciò una vita d'occasioni e così rendono occasionale la vita, la dissipano. La vita frivola è il sintomo quotidiano di chi ha rimosso la morte. Il pensiero della morte, dunque, al contrario di quanto a prima vista può sembrare, spinge gli uomini a ripiegarsi su se stessi quasi a raccogliere tutta la propria potenza e divenire così punto dire resistenza e perciò centro di forza, da investire tutta ma con sagacia, senza dissiparla. Il memento mori è, allora, un gesto utile - ma direi quasi un atto obbligatorio - perché gli uomini diano direzione alla loro vita, si espandano nella consapevolezza d'essere potenze finite e tuttavia feconde se capaci di valorizzare al meglio il tempo concesso. Certo non bisogna bruciare la vita nell'istante: sarebbe come staccare dagli alberi tutti i fiori rimanendo così privi di frutti. Il pensiero delle morte può essere patologicamente associato alla vanità del tutto, ma anche alla preziosità delle vita, che tale è soprattutto perché è una sola. Se poi qualcuno crede a una vita immortale non è detto che perciò stesso debba negare la preziosità della vita presente ma può viverla come un cammino verso un compimento futuro in cui tutto quello che qui si consuma non sarà affatto cancellato, ma trasformato, redento definitivamente dalla perdita e dal dolore. Questo credo che credano quelli che credono.


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