mercoledì, giugno 16, 2004

LETTERATURA. SI SCRIVE 16 GIUGNO 1904 MA SI LEGGE «BLOOMSDAY». ECCO PERCHÉ

James Joyce ha fatto 100

Lo scrittore volle ambientare il suo «Ulisse» a Dublino, la città che più di ogni altra si prepara a celebrare l’anniversario ormai imminente. Ma nella storia del libro contano anche Trieste e Parigi

Di Alessandro Zaccuri

Inizia alla mattina molto presto, con il dialogo tra due giovanotti in una torre affacciata sul mare. E finisce di notte, molto tardi, con il monologo di una donna che entra ed esce dal dormiveglia, in un tempo imprecisato e in un luogo indistinto che finiscono per coincidere con l'interiorità del lettore. Anche se in realtà sappiamo benissimo che tutto accade in una città, Dublino, minuziosamente rievocata. E in un giorno ben preciso, il 16 giugno 1904. Il Bloomsday, come lo chiamano gli appassionati dell'opera di James Joyce. Leopold Bloom, infatti, è il nome del protagonista del suo capolavoro, Ulisse, controversa riscrittura in chiave modernista dell'Odissea omerica, con l'agente di commercio Bloom al posto del re di Itaca, sua moglie Molly nel ruolo che fu della fedele Penelope e l'aspirante poeta Stephen Dedalus (parziale autoritratto dello scrittore da giovane) impegnato a ripetere le peregrinazioni del buon Telemaco. Un libro da prendere o lasciare, l'Ulisse, e che molto ha fatto discutere anche per quanto riguarda la particolare posizione religiosa di Joyce. Fin dalle prime battute, infatti, la manovra di allontanamento dell'autore dal cattolicesimo sembra evidente, pur non impedendo il riaffiorare - in alcuni passaggi decisivi del romanzo - di un riconoscibilissimo sottotesto teologico. Anche di questo si parlerà nei prossimi giorni a Dublino, in occasione delle celebrazioni per il centesimo Bloomsday. Una ricorrenza che non coincide con il centenario dell'Ulisse (pubblicato per la prima volta nel 1922), ma che per molti aspetti è ancora più significativa. Data fatidica nella storia d'amore fra Joyce e la moglie Nora, il 16 giugno 1904 è ormai considerato un momento altamente simbolico nella storia della letteratura moderna. È, più che altro, una giornata inscindibile dalla topografia della capitale irlandese, che non a caso dalla prossima settimana ospita tutta una serie di manifestazioni, destinate a culminare nel simposio internazionale inaugurato dal premio Nobel Seamus Heaney (per il programma dettagliato è possibile consultare il sito www.rejoycedublin2004.com). Eppure, a dispetto dell'abbondanza di targhe e monumenti che a ogni angolo del centro ricordano la location dei vari episodi del romanzo, Dublino è soltanto in parte la città dell'Ulisse. Il 1904, infatti, è anche l'anno in cui Joyce abbandona per sempre l'Irlanda, dando il via a una serie di peripezie che sembrano davvero degne di un Ulisse con ingombrante famiglia al seguito. Non a caso, del resto, i due principali saggi apparsi di recente in Italia a margine del Bloomsday numero 100 sono ambientati non a Dublino, ma a Trieste e a Parigi. Nella città giuliana, ricorda John McCourt in James Joyce. Gli anni di Bloom (Mondadori, pagine 466, euro 30,00), lo scrittore si divise tra le lezioni d'inglese impartite all'industriale Ettore Schmitz, più noto con lo pseudonimo di Italo Svevo, e la stesura del suo «scandaloso» romanzo. All'americana - ma parigina d'elezione - Sylvia Beach, prima editrice dell'Ulisse, è invece dedicata la dettagliata biografia di Noel Riley Fitch La libraia di Joyce (il Saggiatore, pagine 560, euro 35,00), che ricostruisce l'ambiente intellettuale in cui lo scrittore irlandese venne a trovarsi dopo il suo trasferimento nella capitale francese. Fraternizzando a stento, tra l'altro, con la colonia di yankee, primo fra tutti il giovane Hemingway, che pure facevano capo al più importante fra gli americani nella Parigi dell'epoca, il poeta Ezra Pound, infaticabile «impresario» dell'Ulisse. Il Bloomsday, insomma, non è un evento soltanto dublinese. Non per niente una significativa «coda» delle celebrazioni si svolgerà proprio a Trieste, dove dal 27 giugno al 3 luglio è in programma l'ottava «Joyce School». Ma il vero motivo dell'«italianità» dell'Ulisse è un altro e va ricercato nella famosa lettera indirizzata all'anglista Carlo Linati, nella quale Joyce illustrava lo schema complessivo dell'opera. Senza il quale, forse, il libro risu lterebbe ancora più impervio.

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