sabato, gennaio 29, 2005

L'umanità dell'embrione umano (6)

Una premessa: mi ripeterò, abbondantemente, per il semplice motivo che hai presentato le mie argomentazioni secondo una chiave ermeneutica sbagliata.
Avevo fatto uno sforzo di pensare ed argomentare secondo la tue impostazione: COME l’umanità si mostra e non COSA l’uomo sia. Ed invece tu mi rispondi a partire dalla supposizione (vedi punto 3), falsa, che io stessi argomentando che è umano ciò è biologicamente determinato in un certo modo, cosa che io non ho detto.
Non ho mai parlato di biologia, nè fatto appello alle conoscenze scientifiche, sarebbe stato troppo facile. Ho cercato invece di usare il tuo linguaggio e allora ti chiedo stavolta di ascoltarmi.

La mia storia non comincia con la mia nascita, e neppure con il mio concepimento. No, inizia molto prima, quando i miei genitori, e non solo loro, mi hanno desiderato, sognato, progettato, E’ lì che ho fatto la mia prima comparsa nella comunità degli uomini. Ma questo, credo, non ci fa problema. C’è stato poi un momento, sconosciuto, nel quale questi desideri si sono realizzati materialmente. (Dire che questa sia semplice biologia mi pare veramente una bestialità.)
Angelo ha iniziato a costituirsi, il che vuol dire realizzando ma anche deludendo quelle che erano le aspettative dei suoi genitori, proprio a partire da quell’attimo: il concempimento. Come negare che quella sia stata una mia manifestazione reale?
E’ lì lo scarto, l’inizio. Tutto il resto è una conseguenza. C’è una potenza fenomenologica in quell’inizio, per quanto nascosto, che non ha eguali in tutta la mia storia perchè quello che poi sono pian piano diventato non è nulla di fronte alla DIFFERENZA tra quello che non c’era un attimo prima e quello che è cominciato ad ESISTERE.
Ed è così anche per la morte: nulla è paragonabile all’abisso che passa tra quel che sono e quel che (non) sarò a morte avvenuta, un abisso tale che ogni altro momento di sviluppo nella mia storia, l’inizio dell’attività celebrale, della sensibilità, dell’autocoscienza, il dolore, il linguaggio, tutto diventa episodico. Un episodio che non è tanto significativo quanto quello scarto iniziale e quello scarto finale.
Non è umano tutto questo? L’umanità è proprio in quella differenza tra l’esserci ed il non esserci. Un esserci che è cambiamento, sviluppo, passaggio, incompiutezza e che proprio per questo è sempre umano, in ogni momento.

Torniamo ai punti discussi. Andrò a ritroso e mi ripeterò dalla fine all'inizio, per un motivo che sarà chiaro solo alla conclusione.

9. Il criterio della sofferenza è insufficiente, ti ho convinto. Ma io direi non è necessario, così come non lo è quello dell’emotività o della vita intellettiva. Sono tutti elementi che sono intervenuti a caratterizzare la mia esistenza ma, quando nel corso del tempo pian piano li andrò a perderli, perchè questo accade con la vecchiaia, non dirai che sono meno uomo. Anzi, è proprio dell’essere umani che certe caratteristiche si acquistano nel tempo e così anche si perdono.

8. Hai scritto: “. Questo argomento, che nel tuo ordine di considerazione viene molto dopo la definizione biologica dell’umano, e che proponi solo per scendere sul mio terreno, io lo trovo invece serio e importante. Sicché non obietto nulla”
Se leggi bene quanto avevo scritto, la definizione biologica dell’umano non c’era, almeno nelle mie intenzioni. Forse ne era rimasto qualche residuo, visto che non si può negarla, ma sto facendo di tutto per cercare di dialogare secondo un linguaggio comune, antiessenzialista e antibiologista, come diresti tu. ;)

7. Lo ripeto, i diritti si acquisiscono quando si ha la capacità di goderli e l'embrione umano, in quanto vivente, possiede di conseguenza il diritto a rimanere in vita. Non potrà avere il diritto di voto, visto che non può esercitarlo, ma condividerà con l'adulto il diritto alla vita nella misura in cui è anch'egli vivente. Solo una volta accettato questo possiamo discutere di eventuali conflitti tra questo diritto ed quello di altri soggetti, ad esempio della madre, e su come risolverli. Ma almeno su questo siamo d’accordo?

6. Qui, come hai riconosciuto, l’essenzialista eri tu.

5. Definire l’uomo in base alle sue manifestazioni non necessariamente significa escludere dall’umanità alcune sue forme solo perché queste non la esprimono completamente. Tu hai una concezione esclusivista della vita umana mentre io ne propongo una inclusiva. Prendere come paradigmatica una sola forma dell’umano significa necessariamente far violenza. E’ successo nel passato quando donne, schiavi, bambini, popoli non occidentali, non rientravano pienamente nel paradigma di umanità (maschio-adulto-bianco) e pertanto veniva riconosciuta loro meno umanità e quindi meno diritti. E’ quello che stai facendo tu ora con gli embrioni: non soddifano completamente il tuo modello di uomo compiuto e quindi, affermi, non sono uno dei modi in cui l’umano si manifesta.
Inoltre, è chiaro che forme diverse possono essere trattate diversamente ma almeno sia riconosciuta a tutte la comune dignità.

4. Rileggi bene quello che ho scritto, non parlavo di biologia, come a te farebbe comodo.
Sei tu che limiti l’embrione a biologia ma è molto, molto di più. Un test di gravidanza cosa verifica, un avvenimento biologico o l’inizio di una nuova esistenza? Entrambe le cose, per chi sa vederle, ma non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere.
Inoltre, una sola manifestazione non basta, ne vuoi un paio? Ti rispondo anche io con una battuta: c’è più differenza tra niente ed uno che tra uno e due. E quella differenza è più che sufficiente perchè è ontologica.

3. Per la rivelazione della sua umanità non devo aspettare che quell’embrione la mostri perchè l’ho già conosciuta in tutti quelli che come lui sono passati attraverso quello stadio.
Io all’inizio sarò stato pure poche cellule ma in questo momento la biologia ci interessa ben poco perchè quelle poche cellule sono l’avvenimento fondante e perciò fondamentale per il mio essere, senza le quali nient’altro sarebbe stato possibile.

E qui mi fermo perchè i punti 2 e 1 non aggiungono nulla a quello che ho già detto.
Come vedi non mi sono appellato a quella che tu continui a chiamare biologia ma che è molto di più, è genetica, è fisiologia, è psicologia prenatale.
Però ora ti sfido a discutere sugli stessi argomenti utilizzando questa volta anche i dati della scienza contemporanea, visto che le tue riflessioni sembrano scritte 100 anni fa.
Se è vero che la scienza non può avere l'ultima parola, non può però neppure essere messa a tacere.
Alla prossima.
Angelo

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro Angelo, temo che la risposta si farà attendere sino a giovedì, e ti chiedo scusa (leggo solo ora il tuo blog, domani tocca alla famiglia, lun mer i corsi, e leggere tutto il 'carteggio' prende tempo). Qui mi permetto solo di dire che può darsi che le mie osservazioni siano datate di cent'anni. Se cento, perché non mille. Facciamo duemila, e fammi contemporaneo di Platone. Questo per me significa: le riflessioni di Platone ed Aristotele sono attuali. Cosa che penso (altrimenti non farei filosofia). I termini scientifici posso tranquillamente lasciarli a Boncinelli o a Vescovi o a Flamigni. Il mio problema è se mai pensare filosoficamente la scienza, non pensare scientificamente. Se poi il filo del mio ragionamento è: non è la scienza il luogo in cui si decide se questo è un uomo, capirai che la scienza entra cme qualunque altra cosa.
Ma, ripeto, a govedì.
Azioneparallela

Angelo ha detto...

Ulteriori riflessioni su lostranierodielea.blog-city.com