mercoledì, maggio 18, 2005

“Privacy prenatale”, selezione embrionale e tentazioni eugenetiche

Siena, martedì, 17 maggio 2005 (ZENIT.org).- I referendum sulla legge 40/2004 relativa alla procreazione medicalmente assistita hanno riacceso il dibattito circa la legittimità e le conseguenze della diagnosi prenatale.
E’ infatti evidente che alcune informazioni di carattere genetico del nascituro potrebbero portare ad azioni come la soppressione, la selezione eugenetica o l’utilizzo strumentale della vita nascente con violazioni gravi del diritto alla vita ed al rispetto e dignità della persona.
Per evitare discriminazioni, le istituzioni internazionali hanno dato vita alla “privacy prenatale”, un concetto che alcuni sostenitori dei referendum vorrebbero cancellare.
In questa intervista concessa a ZENIT, il dottor Carlo Valerio Bellieni, Dirigente del Dipartimento Terapia Intensiva Neonatale del Policlinico Universitario "Le Scotte" di Siena, spiega il significato e le implicazioni di questo dibattito.

Cosa s’intende per “privacy prenatale”?

Bellieni: Nel 1989 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha tracciato le linee per una tutela della nostra privacy prenatale. Ogni persona ha diritto a non subire discriminazioni anche prima della nascita, in base al sesso, alle caratteristiche o attitudini future e l’OMS suggerisce di limitare la possibilità per i genitori di ottenere eccessive informazioni sul figlio: “ La diagnosi prenatale è eseguita solo per dare ai genitori e ai medici informazioni sulla salute del feto. L’uso di diagnosi prenatale per test di paternità, eccetto in caso di violenza o incesto, o per arrivare ad aborto selettivo in base al sesso, tranne che per le malattie legate al sesso, non è accettabile” (1).

Quali sono le frontiere della conoscenza dei dati personali prima della nascita?

Bellieni: Scriveva il genetista tedesco Wolfram Henn nel 2000: “Ci può essere dubbio che un kit per il DNA che prometta ai futuri genitori una buona chance di avere un figlio alto, magro, brillante non sarebbe un best-seller? Credo che questa sia incompatibile col principio di nil nocere. Perciò c’è urgenza di estendere l’attuale proibizione di test per la paternità o per il sesso ad ogni parametro che non sia correlato a gravi malattie del nascituro”. E aggiungeva: “a differenza della diagnosi prenatale, la diagnosi pre-impianto non implica l’aborto che, essendo traumatico, è una barriera psicologica alla scelta dei genitori rispetto a caratteristiche secondarie indesiderate” ( Consumerism in prenatal diagnosis: a challenge for ethical guidelines. J Med Ethics 2000; 26:444-6).

Tuttavia si discute oggi, come ad esempio fa David Wasserman della Yale university, se questa selezione prenatale in base ai caratteri debba essere fatta solo per le malattie gravi (sindrome Down, in testa) oppure, al fine di non stigmatizzare i disabili, debba essere consentito l’accesso ad ogni possibile tipo di curiosità su embrione e feto.

Filosofi che giustificano l’eticità della selezione degli embrioni in base al sesso desiderato vanno in questo senso e Julian Savulescu scrive: “Le coppie dovrebbero poter selezionare gli embrioni o feti che avranno verosimilmente la miglior vita, basata sulle informazioni genetiche disponibili incluso quelle su geni non responsabili di malattie. Dovremmo anche permettere la selezione per geni non legati a malattie anche se questo perpetua o accentua la disparità sociale”. E’ il paradosso di certa medicina moderna: invece di curare e accogliere il malato o l’indesiderato… elimina.

Henn riporta che “più di un quarto dei genetisti nei Paesi occidentali sarebbe pronto a eseguire diagnosi prenatale per la selezione in base al sesso, e l’8% afferma che ‘i pazienti hanno il diritto a qualunque servizio per cui possono pagare’”, e in India il problema è così grave che esiste una legge contro la selezione legata al sesso e lo stato di Maharashtra ha varato una legge che punisce i medici che partecipano a tali azioni.

Esistono altri rischi di abuso?

Bellieni: Sì, e il Comitato Nazionale Italiano di Bioetica si è pronunciato su questo: “La capacità di predire - attraverso l'analisi del genoma in epoca prenatale o della costituzione genetica di individui adulti - che un soggetto si ammalerà di una determinata malattia, o di accertare che, pur privo di specifiche patologie, è comunque predisposto a contrarle, può anche comportare un costo elevato in termini psicologici e sociali. È infatti possibile sottoporre l'individuo a discriminazioni in vari ambiti della sua vita quotidiana (sul lavoro, come da parte di società assicuratrici, o addirittura del proprio partner), spesso soltanto sulla base di una maggiore probabilità, ma non della certezza, che un giorno egli possa ammalarsi. Si pone pertanto la necessità di proteggerlo da un cattivo uso delle informazioni genetiche, tale da condurre a comportamenti collettivi discriminanti e limitativi, a qualsiasi livello, dei diritti fondamentali della persona” (Comitato Nazionale per la Bioetica: Orientamenti bioetica per i test genetici. 19 novembre 1999).

Dall’Utah, Botkin, Pediatra e bioeticista sottolinea, in un articolo intitolato “Privacy fetale”, che “man mano che la tecnologia avanza, sarà possibile lo screening per condizioni che non producono gravi difetti. I futuri genitori potranno perciò presto selezionare l’embrione in vitro più desiderabile, o terminare i feti indesiderabili fino ad ottenere il figlio desiderato. La professione medica deve assumersi la responsabilità di stabilire le linee-guida per l’uso della tecnologia riproduttiva”.

Ma la diagnosi precoce non è una cosa auspicabile?

Bellieni: E’ ovviamente giusto conoscere prima della nascita la possibilità di patologie curabili, ma che dire della possibilità di rivelare la predisposizione a quelle che curabili non sono e che magari si presenteranno ad un’età avanzata? E’ diritto dei genitori sapere tutto del figlio? Nell’interesse del figlio: sì!

Come non intravedere invece un conflitto di interessi per la possibilità che queste informazioni rischino di andare a detrimento del nascituro? “Un domani che noi sapremo vedere dall’embrione che il bambino avrà tale o talaltra caratteristica… che sarà maschio, femmina, che avrà gli occhi blu e il bernoccolo della matematica… ci saranno genitori che diranno: - Non lo vogliamo così-. Immaginate l’imbarazzo dei medici tra 50 anni quando saranno interpellati per casi analoghi?” (Bernard J, Langaney A: Si Hippocrate voyait ça!. Ed JC Lattes, 2003:76-77).

Non bisogna dimenticare che la riservatezza delle notizie riguardanti la sfera della fisiologia e della salute personali può essere aggirata se i miei dati, che da adulto non darei a nessuno, vengono decodificati prima della nascita. Non si tratta allora di impedire l’accesso ai dati del figlio, ma di proporre un’opera di educazione per riportare il figlio fuori da questa deriva dell’ingerenza nei suoi dati personali, che può sconfinare nell’intrusione.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

se posso dire, Angelo, magari con sfumature diverse, ma queste preoccupazioni sono anche mie, perché riguardano non l'umanità dell'embrione, ma l'umanità del figlio nato.
Azioneparallela

Anonimo ha detto...

Non c'è dubbio che se l'etica immanente dell'utile continuerà a strutturarsi come unico pensiero possibile, cioè praticabile e praticato, presto arriveremo a questo e a molto altro. Fra non molto tempo qualche giovane Dulbecco ci parlerà della clonazione umana finalizzata a produrre organi compatibili per i trapianti (magari cavalcando l'utile idiota, il caso patetico di turno) e, ancora, dell'eutanasia caritatevole per handicappati e malati di mente. Se non ci sono limiti oggettivi all'utilità dei "forti", basterà attendere il fatale, storico, indebolimento delle relative remore collettive.

Bernardo