domenica, luglio 12, 2015

Gilbert Keith Chesterton è stato un dono fatto alla cattolicità (e all'umanità intera) direttamente da Dio. Benché egli sia apparso come un aiuto insperato offerto alla Chiesa del secolo XX, alle prese con un mondo ostile e accanito contro di lei, la Chiesa c'entra poco nella sua nascita alla fede e all'attiva militanza ecclesiale. Non è cresciuto in una famiglia religiosa e non ha ricevuto una formazione cristiana nel senso preciso del termine. Non è stato preparato alla sua missione apologetica da qualche agguerrita università pontificia. Nessun movimento culturale cattolico l'ha illuminato, nessuna associazione dedita all'apostolato l'ha spronato alla «buona battaglia». Si è fatto da solo. È semplicemente andato alla scuola della sua schietta umanità e ha ricercato la verità con assoluta onestà intellettuale, usando effettivamente di quella ragione che i razionalisti si limitavano a venerare. Questo è stato sufficiente per condurlo «a casa», cioè all'antica fede e alla saggezza dei padri. Naturalmente noi, che non ignoriamo la teologia, sappiamo benissimo che a livello delle causalità più profonde questo è avvenuto per l'illumuiazione e sotto la guida dello Spirito di Dio; il quale, anche se la cosa può apparire sorprendente agli intellettuali laicisti, sta sempre dalla parte dell'essere autentico e della retta ragione. Forte della sua personale esperienza, Chesterton agli animi in ricerca, magari inconsapevole, di Cristo non propone una via diversa da quella di prendere sul serio la realtà delle cose nella sua integrità (a cominciare dalla realtà intcriore dell'uomo) e di adoperare fiduciosamente l'intelletto nella sua nativa sanità, purificato da ogni incrostazione ideologica. La Provvidenza ha suscitato quest'uomo come antidoto efficace contro tutti i veleni che sono imperversati lungo tutto il secolo XX, ma che si sono fatti anche più virulenti nella sua seconda metà, quando l'avventura terrena di Chesterton si era ormai conclusa da un pezzo. Nei suoi scritti - principalmente nei saggi, ma anche nell'opera narrativa - si trovano denunciate praticamente tutte le nostre follie. Ricordiamo alla rinfusa non solo le aberrazioni disumane del comunismo e le intemperanze del capitalismo selvaggio, non solo il razionalismo e l'irrazionalismo, non solo l'agnosticismo filosofico, l'indifferentismo religioso, il relativismo morale, non solo la mentalità divorzistica e l'allergia moderna a trasmettere la vita, ma anche la manìa dei culti esoterici, il buddismo snobbistico, le varie ideologie vegetariane e animaliste, le ambiguità dell'internazionalismo pacifista, eccetera. Purtroppo la cristianità - che ha dato discreta attenzione a Chesterton fino alle soglie del Concilio Vaticano II - ha cominciato a dimenticarsene proprio quando il suo magistero sarebbe stato più necessario per prevenire e contrastare i nostri guai. Mi auguro che questa piccola raccolta sia più che altro un segno: il segno di una rinnovata attenzione e di una salutare ripresa di interesse. L'origine di queste pagine - destinate alla stampa periodica e legate perciò a un determinato contesto -spiega una certa difficoltà di comprensione da parte dei lettori di un'epoca lontana e diversa. Ma in ognuna di esse balena la frase lucente e incisiva che non si dimentica più. Chesterton sa che la conseguenza più deleteria della scristianizzazione dell'Europa non è stato lo smarrimento etico (che pure è stato gravissimo): è stato lo smarrimento della ragione. «Il mondo moderno - dice - ha subito un tracollo mentale, molto più consistente del tracollo morale» (p. 47). Non si fatica a immaginare il suo giudizio sull'uomo - sul cristiano - dei nostri giorni, che sembra aver sostituito la speranza cristiana con un ansioso ottimismo mondano: «Non vuoi più accettare la dottrina cattolica che la vita umana è una battaglia; vuole solo sentirsi dire... che è una vittoria» (p. 112). Il divorzio, introdotto da gente probabilmente in buona fede e difeso perfino da molte anime belle e devote per rimediare ai «casi difficili», ha radicalmente cambiato l'idea stessa di matrimonio e di famiglia. «La Chiesa - dice Chesterton - aveva ragione nel rifiutare anche le eccezioni. Il mondo ha ammesso le eccezioni, e le eccezioni sono diventate la regola» (p. 87 s). Oggi, in nome dell'irenismo e della tolleranza, pare vadano sbiadendosi i confini tra l'errore e la verità. E dal momento che nessuna asserzione è più condannabile, è straordinariamente difficile diventare eretici. Personalmente la cosa mi secca un po', perché ci tengo alla mia libertà di compiere tutte le trasgressioni, anche se spero che da tutte mi preservi la grazia di Dio. Forse non si riflette abbastanza che annullare i peccati contro la fede, vuoi dire annullare anche la fede. Per Chesterton l'ortodossia è inconfondibile, ed è la sola nostra possibilità di salvezza. Anche se poi da dell'eresia il concetto più cavalieresco e positivo che si possa mai configurare. Le eresie per lui «sembrano persine corrispondere alla verità e talvolta sono vere, nel senso limitato in cui una verità non è la Verità». «L'eresia è quella verità che trascura tutte le altre verità» (p. 115). E così si arriva a capire in tutta la sua bellezza il concetto che Chesterton da della Chiesa cattolica, da lui ritenuta il solo baluardo rimasto a difesa dell'uomo vero, dell'uomo comune, dell'uomo «normale»; «La Chiesa... è il luogo dove tutte le verità si danno appuntamento» (p. 17). Giacomo card. Biffi arcivescovo di Bologna (Introduzione a "Chesterton. Perché sono cattolico, Ed. Gribaudi)

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